E’ quanto stima Nomisma in collaborazione con Cribis.
Le ultime stime del Fondo Monetario Internazionale prevedono un peggioramento generale dell’economia mondiale: si passa da una stima del -3% ad una del -4,9%. Anche la nostra penisola è coinvolta in questo clima di peggioramento delle aspettative la cui stima di decrescita scende dal -9,1 al -12,8%. Non sfugge a questo quadro di peggioramento l’America di Trump, che recentemente sta affrontando diverse traversie. La stima del Fondo Monetario vede peggiorare il declino statunitense dal -4,9 al -8,0 per cento.
Gli Stati Uniti sono il secondo mercato di sbocco delle esportazioni del nostro paese. Un flusso di merci per un valore di 45,5 miliardi, secondo soltanto alla Germania (58,1 miliardi). Di conseguenza la flessione americana avrà ricadute importanti sulle nostre esportazioni.
Nomisma, con la collaborazione Cribis, ha stimato l’impatto sull’export italiano provocato dal rallentamento statunitense. Sono state stimate le diverse elasticità dell’export di tutti comparti italiani che esportano verso gli Stati Uniti, rispetto alla variazione del Pil USA, dal 1995 al 2019 per arrivare, nell’ipotesi di comportamenti costanti, a stimare l’impatto del rallentamento di 8 punti percentuali del Pil americano sull’export italiano.
Tabella 1: Impatto del rallentamento del Pil USA sull’export italiano
Fonte: Elaborazione Nomisma su dati OCSE e ISTAT
La tabella riporta per ognuno dei 13 comparti identificati (2 digit codice Ateco), il valore assoluto di export nel 2019, la quota di export, l’aumento (o diminuzione) dell’export in valori assoluti alla variazione di un punto percentuale del Pil USA, l’elasticità , e infine la stima della riduzione dell’export nell’ipotesi di un calo del Pil americano di 8 punti percentuali.
Nel 2019 l’Italia ha esportato verso gli Stati Uniti beni per 45,5 miliardi di euro. Nomisma stima che, se il Pil statunitense dovesse calare di 8 punti percentuali, sono a rischio 7.8 miliardi di euro, il 17 per cento del nostro flusso di esportazioni verso gli USA.
Le elasticità dei comparti alla variazione del Pil americano sono di intensità assai differente nei differenti comparti. Per nostra fortuna i comparti che mostrano le elasticità più elevate registrano quote di export basse: Articoli in gomma (elasticità 4,88, quota 4,3%), Servizi (elasticità 4,69, quota 0,67%) e Legno e prodotti in legno (elasticità 4,48, quota 0,77%). Di converso i tre comparti più importanti mostrano elasticità basse: Macchinari e apparecchi n.c.a. (quota 18,28%, elasticità 1,9), Articoli farmaceutici (quota 12,8%, elasticità 0,44) e Prodotti alimentari, bevande e tabacco (quota 10%, elasticità 0,8).Â
Intrecciando quote ed elasticità i comparti maggiormente coinvolti sono macchinari e apparecchi n.c.a. che ridurrebbero il loro flusso di 1,26 miliardi (-15%); prodotti tessili, abbigliamento pelli ed accessori che perderebbero 1,1 miliardi (-28%); 800 milioni di euro in meno segnerebbero le esportazioni dei mezzi di trasporto (-9,6%). Infine, la voce più rilevante in termini di impatto sono le altre attività manifatturiere (gioielli, strumenti musicali, articoli sportivi e giocattoli…) che perderebbero 1,7 miliardi (-37%).Â
In precedenza, Nomisma, sempre in collaborazione Cribis, aveva stimato l’impatto sull’export italiano rispetto al rallentamento del Pil tedesco: il nostro primo mercato. La differenza che emerge nel confronto tra le esportazioni del nostro paese (e le rispettive elasticità ), verso queste due potenze economiche, è che nel caso della Germania l’intreccio delle nostre esportazioni era assolutamente integrato nella trama produttiva tedesca. Rispetto agli Stati Uniti, le nostre esportazioni sono maggiormente dirette su beni di consumo finali piuttosto che semilavorati. In tal senso gli Stati Uniti rappresentano più un ottimo cliente piuttosto che un partner produttivo.