‘Split payment’: impatto complessivamente limitato sul merito creditizio delle PMI. Per CRIF Ratings improbabile un’estensione oltre il 2020

18/07/2018

“Gli effetti dello ‘split payment’ sul livello di indebitamento complessivo per le PMI italiane nel 2015 sono stati minimi” sono queste le conclusioni di uno studio curato da CRIF Ratings su un campione di società italiane. Secondo i dati del MEF, la porzione di IVA soggetta al regime dello ‘split payment’ ammontava a EUR 6,7mld, ovvero il 9,8% del gettito IVA complessivo dalle società di capitali nel 2015; le richieste di rimborso IVA relative allo stesso periodo d’imposta sono cresciute di EUR 2,13mld y-o-y a EUR 9,97mld in totale (+27%). Limitatamente al campione studiato dall'Agenzia, si rileva un aumento dei crediti per imposte[1] per circa EUR 1,5mld a EUR 18,3mld nel 2015 (o +9% y-o-y) che tuttavia, rappresentava solo lo 0,6% del debito finanziario totale del campione (EUR 246,4mld).

Il campione utilizzato nello studio di CRIF Ratings include 26.935 PMI italiane[2] che hanno depositato il bilancio ordinario nel periodo 2013-2016. Le società incluse nel campione hanno riportato un fatturato aggregato di c. EUR 727,4mld nel 2015 che, secondo i dati del MEF[3], rappresenta circa il 26% del fatturato complessivo generato dalle società di capitali italiane soggette al regime dell’IVA nel periodo d’imposta 2015. In base a queste statistiche, i settori maggiormente colpiti dall'impatto dello ‘split payment’[4] nel 2015 sono stati utilities ed energia, costruzioni e infrastrutture, manifattura, commercio e trasporti e logistica.

Le metriche del credito del campione osservato sono migliorate ad un ritmo stabile nel periodo 2013-2016. In relazione al primo anno di introduzione dello ‘split payment’, il valore mediano dell’indicatore debito finanziario lordo / EBITDA è passato a 3,3x nel 2015 da 3,4x nel 2014, mentre quello dell’indicatore EBITDA / oneri finanziari è passato a 10,7x nel 2015 da 8,6x nel 2014. Inoltre, il valore mediano del rapporto dei debiti finanziari a breve termine sul totale ha mostrato una leggera riduzione (67,8% nel 2015 da 71,3% nel 2014).

“Non abbiamo osservato alcuna differenza materiale per le società appartenenti ai settori più colpiti dallo ‘split payment’ (come definiti in precedenza), le quali hanno riportato lo stesso o perfino un miglior trend in termini di indicatore di leva” dichiara Christian De Rose, Associate di CRIF Ratings, autore dello studio.  “ I miglioramenti sono principalmente imputabili a una serie di fattori favorevoli nel periodo 2013-2016. Primo tra questi, il basso prezzo del petrolio che ha supportato la marginalità operativa permettendo una crescita dell’EBITDA in valore assoluto. Secondo, gli incentivi fiscali sul costo del personale e sugli investimenti hanno permesso alle imprese di limitare l’assorbimento di cassa derivante dal pagamento delle tasse. Infine, la politica monetaria della BCE ha permesso una generalizzata riduzione del costo del debito e favorito l’erogazione di nuova finanza a più lungo termine”, conclude De Rose.

Come risaputo nel dicembre 2017 il Ministero dell’Economia e delle Finanze italiano ha pubblicato le liste di enti pubblici, società controllate dalla Pubblica Amministrazione italiana e società quotate alla Borsa italiana (collettivamente ‘Soggetti Pubblici’), a cui lo ‘split payment’ è stato esteso con efficacia dal 1 gennaio 2018. L’estensione fa seguito alla deroga alla Direttiva 2006/112/CE (in merito alle modalità di fatturazione e pagamento dell’IVA), concessa dall’EU all’Italia per il periodo 01/07/2017 – 30/06/2020.

CRIF Ratings ricorda come l’estensione ha un potenziale impatto negativo sul ciclo del capitale circolante per le PMI italiane esposte ai Soggetti Pubblici nel 2018 e  ancora meno significativi sembrano gli effetti sulle large corporates[5] italiane, data la maggiore flessibilità finanziaria di queste ultime. Il potenziale impatto negativo deriva dall'accumulazione di crediti IVA relativi al meccanismo dello ‘split payment’ e dal differimento dell’incasso solo a partire dal 2019, tramite due possibili alternative: la compensazione con altri debiti tributari (per un massimo di EUR 700k annui) ovvero tramite il rimborso (da ottenersi in via prioritaria entro tre mesi dalla dichiarazione annuale IVA).  Di conseguenza gli effetti dello ‘split payment’ saranno visibili solo nel primo anno di applicazione, e lo scompenso di liquidità derivante dallo shift dell’incasso del credito IVA sarà riassorbito nella dinamica del capitale circolante nel secondo anno.

Le imprese hanno a disposizione varie alternative per finanziare il fabbisogno di capitale circolante nel 2018: accesso a riserve di liquidità, anticipi bancari, factoring e cartolarizzazioni, soluzioni i cui costi ed effetti sui livelli di indebitamento delle società variano considerevolmente. Secondo CRIF Ratings, tuttavia, a livello aggregato l’estensione del meccanismo di ‘split payment’ non avrà un effetto negativo significativo sulle principali metriche del credito delle PMI italiane. Questa previsione è supportata dalla quantificazione degli effetti del fenomeno e dalle attuali circostanze di mercato più favorevoli rispetto al 2015, anno in cui il meccanismo è stato introdotto per la prima volta (principalmente riconducibili ai maggiori incentivi fiscali disponibili alle imprese e gli effetti dell’accomodante politica monetaria della BCE), che compensano i potenziali effetti negativi.

Sebbene l’estensione del meccanismo nel 2018 riguarderà un maggior volume di vendite rispetto al 2015, l’Agenzia non si aspetta alcun impatto significativo sulle principali metriche del credito delle PMI italiane, anche alla luce dei citati fattori di mercato favorevoli.

“Non riteniamo probabile un’ulteriore estensione dello ‘split payment’ dopo il 30 giugno 2020”, rimarca Christian De Rose. “L’Unione Europea ha già concesso la deroga per la seconda volta nel 2017, nonostante l’impegno iniziale dell’Italia a non richiederne di ulteriori. Allo stesso tempo, l’introduzione della fatturazione elettronica sarebbe più efficace nel contrasto all’evasione fiscale e, inoltre, non comporta impatti nella gestione del capitale circolante”, evidenzia De Rose.

La scadenza dell’efficacia dello ‘split payment’ nel 2020, o un’eventuale eliminazione preventiva dello stesso, avrebbe un effetto positivo una tantum sul ciclo del capitale circolante.

L’Agenzia precisa che questo sarebbe comunque non significativo rispetto al debito finanziario complessivo delle PMI, quindi non comporterebbe alcun effetto positivo sul merito di credito delle società esposte ai Soggetti Pubblici nel complesso.

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Analisti

Christian De Rose
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Borja Monforte
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[1] L’effetto nel 2015 è in buona parte spiegabile dall’aumento dei crediti IVA derivante dallo ‘split payment’, ma l’Agenzia puntualizza che questa voce di bilancio include tipicamente anche altri crediti d’imposta, ad esempio quelli relativi agli incentivi fiscali per le imprese.

[2] Definite come società con un fatturato annuo compreso tra EUR 1m e EUR 200m.

[3] Le società di capitali italiane soggette al regime dell’IVA nel 2015 sono state 1.206.617, con un fatturato aggregato di c. EUR 2.770mld. L’IVA da queste generata costituiva il 76,6% (o c. EUR 68,7mld) dell’IVA generata complessivamente in Italia nel 2015. (Fonte: www.finanze.it).

[4] La rilevanza è stata definite da CRIF Ratings come: IVA soggetta allo ‘split payment’ / totale IVA dell’anno per il settore >= 10%. Più nel dettaglio, i cinque settori citati hanno contribuito al 63% del totale IVA generata in Italia nel 2015. In termini di volumi, il settore utilities ed energia è stato impattato per il 16,9% dallo ‘split payment’; le costruzioni e infrastrutture per il 15,5%; la manifattura per il 13,8%; il commercio per il 13,8%; i trasporti e la logistica per il 9,9%.

[5] Con fatturato annuo maggiore di EUR 200m.