Le aziende sono destinate a diventare sempre più “data-driven companies”, in cui il patrimonio informativo diviene l’asset principale. Ma devono essere in grado di garantire l’accesso ai loro dati, la trasformazione e l’integrazione - in modo sicuro - in ecosistemi interni ed esterni.
“Open” è oggi un termine di gran moda nel settore dei servizi finanziari (open data, open banking, open APIs…) e si riferisce alla capacità di un’azienda di esporre i propri servizi al mondo esterno in modo che i partner, addirittura i concorrenti in certi casi, possano utilizzare questi servizi per portare valore aggiunto ai loro clienti finali grazie all’evoluzione tecnologica delle open APIs (Application Programming Interfaces), che in estrema sintesi sono le porte digitali che rendono possibile questo tipo di comunicazione.
Oggi si cominciano a vedere le ricadute del nuovo paradigma sul settore bancario: ad esempio, progressivamente alcune banche si stanno specializzando nell’erogazione di servizi finanziari mentre altre si focalizzano sulla distribuzione dei prodotti e sulla relazione con la clientela finale. Quale che sia l’approccio privilegiato da ciascun operatore, si intravede il graduale abbandono del modello tradizionale che prevede la realizzazione completamente all’interno di soluzioni finanziarie end2end, in favore dell’assemblaggio di quei servizi finanziari che garantiscano l’innovazione e siano funzionali alla bisogna: disponibili sul mercato, i migliori per qualità, prezzo, facilità di integrazione. Alla luce di questo, la tradizionale distribuzione incentrata sul prodotto si va trasformando in servizi che forniscano viste finanziarie sulla clientela (generate applicando tecniche di Advanced Analytics al patrimonio informativo proprio) e che si integrino con servizi offerti da operatori di altri settori industriali. Questo modello è realizzabile solo se viene costituito un cosiddetto ecosistema di open API, che porta concreto valore a tutti gli attori che vi partecipano.
In questo contesto dobbiamo intendere le API non come un concetto tecnico, ma come un vero e proprio prodotto commerciale, il volto che un’azienda mostra all’esterno, l’elemento che abilita l’ecosistema improntato sulla collaborazione e cooperazione tra i partner. E qui sta la novità che ci porta a parlare di API di nuova generazione esposte su piattaforme “open”: devono essere progettate non tanto in funzione del modo che hanno per risolvere problemi di business contingenti, quanto piuttosto per la capacità che hanno di far intravedere e permettere la crescita prospettica di valore.
Queste piattaforme basate su architetture a micro-servizi favoriscono l’interoperabilità e la modularità dei servizi che espongono. È però necessario abbandonare l’approccio tradizionale al disegno delle API, che punta alla soluzione di specifiche esigenze progettuali, secondo una visione orientata all’integrazione applicativa tra mondi verticali, che nel tempo ha creato complesse interdipendenze tra sistemi, duplicato l’informazione e reso complicata e costosa la manutenzione evolutiva dei servizi. Le nuove API della platform-economy sono il ponte che rende possibile la connessione tra prodotti e servizi, interni all’azienda e di terzi, per creare maggiore valore per i clienti finali. Devono però essere progettate per esporre in modo controllato dati di business, funzionalità e servizi al mondo esterno.
L’adozione del nuovo paradigma delle API è in primis una scelta strategica, quindi non solo tecnologica. Occorre propagandare in azienda, a tutti i livelli, una cultura improntata alla creazione di asset riusabili che favoriscano alleanze e partnership in ottica ecosistemica. In questa logica, anche i servizi legacy/tradizionali possono essere rivitalizzati se riprogettati improntandoli su API di nuova generazione, rompendo i silos, semplificando la fruizione del dato elementare e mettendo a disposizione di una nuova comunità di utenti gli asset informativi tradizionali.
Le “nuove” API devono essere accessibili in modo facile da una platea di utilizzatori la più vasta possibile; devono essere ben documentate; devono garantire il rispetto degli standard di sicurezza aziendali; devono poter essere aggiornate in modo facile e veloce.
Uno degli elementi chiave per attrarre partecipanti all’ecosistema e far leva sul cosiddetto “effetto rete” (il valore che ogni partecipante all’ecosistema vi riconosce è proporzionale al numero dei partecipanti) è rappresentato dal Portale degli Sviluppatori. Si tratta di un vero e proprio sito istituzionale, tramite il quale un’azienda comunica con il mercato, ed è il punto di arrivo pubblico che “racconta” l’azienda nel contesto dell’ecosistema delle open API.
Oltre alla documentazione tecnica utile agli sviluppatori di APP e servizi in genere per realizzare in proprio i moduli software necessari a consumare le API dei servizi esposti sulla piattaforma dell’azienda, deve permettere un onboarding facile e veloce, idealmente tramite auto-registrazione; presentare strumenti di semplificazione dello sviluppo (SDK multi-piattaforma, campioni di codice sorgente, ecc.); mettere a disposizione ambienti di test (sandbox) delle API; favorire lo scambio di opinioni tra la comunità degli sviluppatori organizzati in forum.
Per avere successo, il processo di “API-ficazione” in azienda deve essere accompagnato dall’adozione del modello operativo di riferimento che meglio si adatti alle caratteristiche dell’azienda stessa e agli obiettivi che si prefigge. Non esiste infatti un modello operativo unico che vada bene per tutti. In generale, però, alcuni importanti principi guida sono comuni e, pertanto, da tenere in debita considerazione: innanzi tutto si deve arrivare ad una visione comune condivisa e consistente, comunicata a tutti; il processo di “API-ficazione” è un percorso, non un progetto con un inizio e una fine; occorre una squadra appositamente costituita che abbia la responsabilità della governance del programma, per garantire il rispetto degli standard aziendali, la definizione delle linee guida, il monitoraggio delle policy.
CRIF ha recentemente declinato la propria strategia di posizionamento nel mondo dei servizi Open Banking lanciando CRIF Digital Next - l’innovativa piattaforma che consente a player finanziari, assicurazioni e imprese di accelerare la loro trasformazione digitale - come suo pilastro principale, con l’obiettivo di integrare e ospitare servizi a valore aggiunto (VAS) di CRIF insieme a VAS di quelle terze parti che costituiscono l’ecosistema CRIF. L’offerta CRIF Digital Next è costruita su e veicolata tramite la piattaforma open di CRIF, uno strato infrastrutturale multi-servizio, progettato specificamente per consentire la facile e veloce creazione e integrazione di servizi interni ed esterni, mediante esposizione di API di nuova generazione. La piattaforma è progettata per essere open e per sfruttare al meglio le potenzialità del modello di business a ecosistema, per abilitare l’implementazione di use case attrattivi e far evolvere la user experience dei clienti generando processi di innovazione veloci, continui e sostenibili.
Nello specifico, la strategia di esporre prodotti e servizi per il tramite di API consentirà di esplorare nuove opportunità e sarà ulteriore elemento di spinta per continuare l’evoluzione verso un’organizzazione sempre più agile e incentrata sul cliente. Il successo di questo modello di business e della piattaforma che lo rende possibile verrà misurato in funzione della creazione di nuove fonti di ricavo, del miglioramento del servizio e della conseguente soddisfazione dei clienti nonché della capacità di raccogliere ancor più dati.
Per maggiori informazioni: infoglobaltechnologies@crif.com