L’open banking italiano entra in fase 3. "Raggiunta la compliance, dopo un periodo di riflessione, è il momento della strategia" – spiega Silvia Ghielmetti, Direttore Generale di CRIF, nell'intervista di Aziendabanca – "in cui le aziende implementano dei piani per sfruttare la PSD2 in modo più 'aggressivo', con l’obiettivo di allargare l’offerta e il ruolo con cui si propongono ai loro clienti. Non solo le banche, ma anche utilities, telco o grandi corporate iniziano a progettare oppure già a concretizzare modelli di riposizionamento in base alle opportunità offerte dalla PSD2".
Chiara value proposition
Un passo a cui le banche (e non solo) sono arrivate per gradi: rispettata la compliance alla PSD2, c’è stato bisogno di tempo per comprendere quali opportunità commerciali si aprono per un settore come il banking, alla ricerca di redditività di fronte al calo dei margini sui servizi tradizionali. "Ma per cogliere questa opportunità" – precisa Ghielmetti – "serviva definire una chiara value proposition verso il cliente: tutti ambiscono ad essere il punto di riferimento per i loro clienti, tutti vogliono offrire un customer journey attraente. Ma gli spunti di innovazione sono moltissimi ed è difficile definire a priori quale percorso innovativo sia vincente e migliore".
Cicli di innovazione più rapidi
La tecnologia permette di fare quasi tutto: sta all’impresa scegliere come innovare il rapporto con la propria clientela. "Ma serve anche velocità nel definire e verificare ogni idea" – prosegue Ghielmetti – "definendo rapidamente un Minimum Viable Product per testarne il potenziale di successo sul mercato o meno. Oggi i confini tra settori sono più sfumati e il rapporto con il cliente va conquistato e mantenuto: la banca ha il vantaggio di un rapporto di fiducia consolidato, ma deve adottare cicli di innovazione molto veloci per contrastare challenger da altri settori. E deve anche imparare a considerare come fisiologico un certo tasso di insuccessi: un progetto che non funziona, per motivi diversi oggettivi o soggettivi, va chiuso rapidamente".
Oltre 20 player con CRIF
Negli ultimi 3 anni, tramite la piattaforma CRIF Digital Next, CRIF ha sviluppato una serie di componenti e moduli di servizio per abilitare dei veri modelli di open business e di digital transformation, acquisendo clienti ed esperienze importantissime. "Nomi come Aide-Xa, American Express, Sella Personal Credit, Findomestic e Banco BPM" – elenca Ghielmetti – "con cui abbiamo condotto esperienze importanti, che ci permettono di ricavare molti spunti. Con Banco BPM, ad esempio, abbiamo lavorato nell’ambito del business financial management per i clienti imprese e anche per i consumer, integrando non solo l’analisi della distribuzione nel tempo delle spese, ma anche un’analisi predittiva delle uscite per il futuro. Che crea valore per il cliente, facilitando la pianificazione della spesa economica. Analogamente, avere già esperienze concrete nel campo dell’open banking ci mette nella posizione di comprendere come ottenere al meglio dei risultati, ad esempio come avere clienti che convertono, oppure che acconsentono all’accesso ai dati dei conti che detengono presso altre banche. E come offrire loro sempre più valore per mantenere questo rapporto di fiducia".
Le potenzialità dell’ecosistema
Il vantaggio principale di un approccio a ecosistema, secondo CRIF, sta proprio nella possibilità di restare al passo con l’innovazione dell’offerta su cui stanno riflettendo tutti i soggetti. La capacità di CRIF di offrire servizi a valore aggiunto nasce anche grazie alla presenza in acceleratori e Innovation Hub in diversi mercati. "Oggi la piattaforma si arricchisce di ulteriori Customer Journey pronti all’uso, come quello del Digital Lending, che consente di lanciare rapidamente prodotti di credito interamente digitali per una credito veramente instant".
Collaborazione, non competizione
Implementare una strategia, anche sbagliando e imparando dai propri errori, permette alla banca di restare il punto di riferimento per il cliente in un settore che vede una presenza crescente di player extra-settore. "La banca parte da una base clienti importante" – conferma Ghielmetti – "e può diventare il referente per molte necessità, anche non finanziarie, della clientela. Se mantiene questo ruolo, la banca può collaborare con FinTech e terze parti, veicolando e centralizzandone l’offerta, anche in white label. Molto dipende dalla strategia della singola banca: ci sono realtà incumbent, che grazie all’open banking possono cogliere nuove opportunità commerciali lavorando con FinTech che, per istituti non specializzati, rappresentano invece un potenziale concorrente. È la singola banca che deve definire la propria strategia e come realizzarla".
La piattaforma fa da “filtro”
E il ruolo di una piattaforma è anche quello di fare da “filtro”, di garanzia che chi fa parte dell’ecosistema rispetta tutta una serie di requisiti. "Offrire il best of breed dell’innovazione non è sufficiente" – prosegue Ghielmetti – "perché in startup e terze parti troviamo spesso idee geniali e brillanti ma, a volte, anche limiti nelle capacità di delivery su organizzazioni ampie e complesse dal punto di vista tecnologico e di sicurezza. Se la banca resta il referente per il cliente, è anche garante del livello di servizio veicolato. D’altra parte, una terza parte, specie se di dimensioni piccole, può non essere organizzata per offrire un determinato livello di SLA. È anche a questo che serve una piattaforma, a gestire tutta una serie di tematiche legate all’affidabilità dei partner".